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Gli Eretici   dal
Medioevo alla Riforma





Michele  Serveto
(Tudela in Navarra 1511 - Ginevra 1553)


Miguel Servet (Michele Serveto) nacque nel 1511 a Tudela in Navarra (Spagna), è stato un teologo, umanista e medico spagnolo. Suo padre era notaio e trasferì la famiglia, per motivi di lavoro, a Villanueva de Sixena, in Aragona, quando Miguel era ancora un ragazzo. La sua famiglia era abbastanza agiata e rigorosamente cattolica, tanto da destinarlo al sacerdozio. Non si fece prete, ma ricevette una solida cultura umanistica, sviluppando una buona conoscenza del latino, del greco, dell’ebraico, della filosofia e della matematica.


Michele Serveto

Nel 1528, all'età di diciassette anni, fu mandato dal padre a studiare legge all'università di Tolosa, in Francia, ma vi si applicò di malavoglia. Dopo appena un anno abbandonò gli studi per entrare al servizio di Juan de Quintana (m. 1534), un francescano che era il confessore personale dell'imperatore Carlo V (1519-1556). Con lui partecipò alla Dieta di Augsburg (Augusta) del 1530 ed entrò in contatto con Melantone e gli altri riformatori presenti alla Dieta, la cui dottrina lo interessò a tal punto che abbandonò Quintana per recarsi a Basilea da Ecolampadio.

Il giovane spagnolo travolse il riformatore svizzero con tali e tanti dubbi, soprattutto sulla Trinità, da fargli perdere la pazienza. Tentò allora di farsi ricevere da Erasmo da Rotterdam, che allora abitava a Basilea, ma, ricevuto un diniego, si recò a Strasburgo per discutere con i riformatori Bucero e Wolfgang Capito (1478-1541). Tuttavia questi ultimi erano stati messi in guardia da Zwingli sulle opinioni eretiche di Serveto e quindi furono cortesi ma formalmente freddi con lo spagnolo.

Non essendo riuscito a stabilire un dialogo con i riformatori, decise a vent’anni di pubblicare un libello in latino, "De trinitatis erroribus" (Gli errori sulla Trinità), edito a Hagenau, in Alsazia, nel 1531. Il libro riportava il nocciolo del suo pensiero: la Trinità non era che una forma abilmente truccata di politeismo, come lo era il culto dei Santi; la natura di Dio non era divisibile e la fede in un Dio trino costituiva un vero ostacolo alla conversione di ebrei e musulmani. Era convinto della falsità della doppia natura di Cristo, che era soltanto il Figlio umano di Dio, divenuto divino solo per Grazia di Dio; credeva necessario il battesimo degli adulti, cavallo di battaglia degli anabattisti; considerava la Cena del Signore una cerimonia puramente spirituale. Era inoltre condizionalista, ritenendo che l’anima umana fosse mortale e che dormisse nel sonno della morte fino alla risurrezione. Non esistevano quindi per lui né il fuoco dell’Inferno né le pene del Purgatorio né la gloria del Paradiso.

Il libro ebbe una certa diffusione e gettò nello scompiglio i pensatori protestanti, da Lutero ("un libro abominevolmente malvagio") a Melantone, Ecolampadio e Bucero. Quest'ultimo tuonò dal  pulpito che l'autore avrebbe meritato di essere squartato! In seguito a ciò tutti i riformatori decisero di sottolineare l'importanza dottrinale della S.S.Trinità. La vendita del libro fu proibita prima a Basilea, poi a Strasburgo e infine in tutto l'impero. Quando, con costernazione, Quintana si rese conto che l'autore era il suo giovane ex servitore ne parlò con Carlo V. L'azione repressiva sul testo fu tale che quando vent’anni dopo Serveto fu processato a Ginevra, non se ne riuscì a trovare neanche una copia. Dietro insistente consiglio dei riformatori svizzeri Serveto pubblicò l'anno seguente un volume dal titolo "Dialoghi sulla Trinità", che conteneva una ritrattazione apparente di quanto aveva sostenuto nel libro precedente ma che in realtà rinforzava il suo pensiero.

La reazione al secondo libro fu ancora più dura e Serveto, solo, senza soldi ed in pericolo di vita, fuggì a Parigi, dove adottò lo pseudonimo di Michel de Villeneuve (Michael Villanovanus). Studiò matematica all'università parigina per due anni con ottimi risultati, ma per guadagnarsi da vivere fu costretto a fare il correttore di bozze a Lione. Nel correggere lavori di medicina, si appassionò così tanto a questa materia da ritornare a Parigi e iscriversi alla facoltà di medicina, dove per quattro anni fu allievo di Andrea Vesalio (1514-1564). Laureatosi, scoprì come avveniva la circolazione del sangue fra cuore e polmoni e scrisse un lavoro sull’argomento, sufficiente ad assicuragli un posto d’onore nella storia della scienza medica, ma la sua scoperta fu dimenticata per motivi religiosi e occorrerà circa un secolo prima che Harvey la facesse di nuovo.

Nel 1540 Serveto abbandonò Parigi per recarsi a Vienne (nel Delfinato), invitato dall'arcivescovo, che lo conosceva fino dai tempi parigini e che lo volle come medico personale. A quel tempo scrisse un'analisi critica di testi dell'Antico Testamento, che sarà iscritta nel famigerato Index librorum prohibitorum del 1557.  Si mise poi in contatto epistolare con Calvino per discutere con lui sulla Trinità, ma il riformatore ginevrino si rifiutò di rispondere alle trenta lettere del medico spagnolo. Calvino, carico di odio,  informò l'amico Farel di Neuchatel che se Serveto si fosse recato a Ginevra, egli avrebbe fatto di tutto perché non lasciasse vivo la città!

All'inizio del 1553 Serveto fece pubblicare con immense difficoltà la sua opera principale:  "Christianismi restitutio" (La restaurazione del Cristianesimo), basata sui due libri precedenti e sulle trenta lettere scritte a Calvino, in cui profetizzava la fine del regno dell'Anticristo (il papa) per il 1585 e attaccava senza pietà il dogma della Trinità. Solo Frellon, un amico tipografo di Basilea, accettò di stamparlo a Vienne. Ma Frellon inviò una copia del libro a Calvino e ciò fu fatale per lo spagnolo. Il riformatore ginevrino, attraverso un tale Guillaume Trie, un rifugiato protestante di Lione, a sua volta in corrispondenza con un parente cattolico, avvertì l'arcivescovo di Lione, il cardinale François de Tournon (1550-1562), della presenza a Vienne del noto eretico Michele Serveto, sotto le mentite spoglie del medico Michel de Villeneuve.

L'Opera principale di Michele Serveto "Christianismi restitutio"

Lo spagnolo aveva pubblicato la sua opera, che comprendeva anche le lettere private a Calvino, firmando con quello pseudonimo. Arrestato ed incriminato di eresia da Ory, inquisitore domenicano di Lione, negò di esserne l’autore, ma Calvino si affrettò di fornire all’accusa gli originali di quelle lettere, prove irrefutabili dell’identità di Serveto. Pur di annientare il suo nemico, Calvino fu pronto a collaborare con l’Inquisizione! Ma Serveto riuscì ad evadere dopo aver corrotto le guardie e fu condannato in contumacia al rogo. Intanto furono dati alle fiamme un manichino che rappresentava la sua effige e tutti i suoi libri.

Era ancora libero, ma senza un posto dove andare. Dopo aver girovagato senza meta per quattro mesi, si decise di emigrare a Napoli, probabilmente dopo aver sentito parlare dei circoli riformatori fondati dal suo compatriota Juan de Valdés. Ritenne che la via più sicura per l’Italia fosse la Svizzera e sabato 13 agosto 1553 arrivò a Ginevra per prendere un traghetto domenicale e attraversare il lago. Purtroppo per lui di domenica a Ginevra non partivano traghetti perché tutti dovevano andare per legge calvinista alla funzione religiosa. Fu immediatamente riconosciuto in una chiesa e arrestato. Calvino aveva finalmente l'occasione d'oro per sbarazzarsi del pericoloso dissidente.

Al processo Calvino stesso scese direttamente in campo e usò ogni mezzo, coinvolgendo nel giudizio finale le chiese riformate di Zurigo, Berna, Basilea e Sciaffusa. L'epilogo fu la condanna al rogo dello spagnolo e dei suoi libri, condanna che fu eseguita il 27 ottobre 1553 nel rione di Champel. Serveto morì con dignità, avendo rifiutato anche l'estremo tentativo di Farel di salvargli la vita se avesse ammesso per iscritto i suoi errori. In altre esecuzioni si usava accatastare la legna ai piedi del condannato. Le fiamme erano precedute da un fumo densissimo che faceva perdere i sensi alla vittima. Nel caso di Serveto fu acceso il fuoco ad una certa distanza dal condannato, che perciò fu arso vivo fra le più orribili sofferenze per circa cinque ore e ciò nel nome di Dio, di Gesù, della Verità, della Giustizia, dell’Amore e della Civiltà!

L'anno successivo Calvino sostenne in un suo scritto (Defensio Ortodoxae fidei) il suo diritto di uccidere gli eretici, ma fu lungamente criticato ed attaccato per questa sua presunzione fanatica e omicida. Anche la sua difesa scritta da Theodore de Béze non servì a giustificarlo agli occhi di molti. La morte di Serveto  fece levare dovunque voci di protesta, tra cui quelle degli antitrinitariani italiani Giovanni Valentino Gentile, Matteo Gribaldi Mofa e Celio Secondo Curione, che dovettero fuggire da Ginevra, cioè da quella che a loro era sembrata in un primo tempo la città della tolleranza religiosa. Anche l'umanista Sébastien Castellion intervenne contro Calvino, scrivendo, sotto lo pseudonimo di Martin Bellius, il suo libro più famoso, De haereticis, an sint persequendi? (Gli eretici devono essere perseguitati?), un appassionato appello alla tolleranza ed alla libertà religiosa.

Finalmente, ma solo nel 1912, la città di Ginevra fece erigere in Place de Champel, luogo dell’esecuzione di Serveto, un monumento alla memoria del medico spagnolo. Vi si legge: "In memoria di Michele Serveto, vittima dell’intolleranza religiosa del suo tempo ed arso per le sue convinzioni a Champel il 27 settembre 1553. Erettogli dai seguaci di Giovanni Calvino, 350 anni dopo, in espiazione di quella colpa e per ripudiare ogni coercizione in materia di fede".

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