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Gli Eretici   dal
Medioevo alla Riforma





Pier Paolo Vergerio
(Capodistria 1498 - Tubinga 1565)


Pier Paolo Vergerio nacque nel 1498 a Capodistria, un piccolo paese vicino a Trieste e allora sottoposto alla Repubblica di Venezia. Discendeva da una famiglia gentilizia impoverita che vantava tra i suoi antenati un celebre umanista, Pier Paolo Vergerio seniore (1370-1444). Compì gli studi giuridici a Padova e divenne notaio.

Entrò nella magistratura veneziana e si sposò nel 1526 con Diana Contarini, morta meno di un anno dopo le nozze. Per il dolore decise di seguire le orme del fratello maggiore Aurelio, segretario di Clemente VII, per cui nel 1532 divenne sacerdote. Clemente VII lo inviò prima come diplomatico a Venezia e poi l'anno successivo come nunzio apostolico a Vienna, presso la corte di re Ferdinando, fratello dell'imperatore Carlo V. Nel 1535 il nuovo papa Paolo III lo inviò presso i principi tedeschi per convincerli a partecipare al Concilio che avrebbe dovuto avere luogo a Mantova. Qui visitò le principali corti germaniche ed ebbe occasione di incontrare personalmente Lutero a Wittenberg.

Al suo rientro in Italia nel 1536, per i servigi resi nell'esercizio della nunziatura, fu ricompensato con la nomina a vescovo di Modrus in Croazia e, poco dopo, di Capodistria, una sede vescovile povera di risorse economiche e sulla quale gravava per giunta una tassa da pagare ad un favorito del cardinale Alessandro Farnese, nipote del papa Paolo III. Disilluso, partì e andò alla corte di Francia, dove ricevette dal re Francesco I l’incarico di partecipare  all’incontro di Ratisbona nel 1541. Accettò e a Ratisbona conobbe personalità di spicco del protestantesimo come Melantone, Bucero e Sturm.

In questo periodo entrò in contatto con gli "spirituali", esponenti del riformismo cattolico che desideravano un rinnovamento interiore della Chiesa ma senza scismi: Contarini, Pole, Fregoso, Eleonora Gonzaga, Vittoria Colonna. La lettura di scritti dei riformatori transalpini e l'incontro con la cerchia degli "spirituali" provocarono in lui una crisi religiosa. Ritornato nel 1541 nella sua diocesi di Capodistria, iniziò ad attuarvi una riforma dottrinale, morale e disciplinare, coadiuvato da un altro fratello, Gianbattista, allora vescovo di Pola. Gli sforzi vigorosi e talvolta imprudenti di entrambi nel combattere gli abusi del clero e dei frati procurarono loro l'accusa di eresia.

In seguito alla improvvisa morte del fratello Giambattista (per Vergerio avvelenato dai suoi nemici), il 1° maggio 1549, come già Vermigli e Ochino prima di lui, decise di prendere la via dell'esilio. A Roma fu processato in contumacia dal tribunale dell’Inquisizione e deposto dal seggio capodistriano.

Due settimane dopo la fuga dall'Italia Vergerio era a Chiavenna, accolto calorosamente dal pastore del luogo, Agostino Mainardi, lui stesso esule per motivi religiosi. Si spostò poi a Coira per conoscere i dirigenti delle chiese retiche,  cioè i pastori Commander e Gallicius, e da li si recò a Poschiavo, dove era l'unica tipografia della regione che stampava in lingua italiana, quella fondata da Dolfin Landolfi. Qui Vergerio pubblicò molti scritti che aveva portato con sé dall'Italia. Nel novembre del 1549 si trasferì a Basilea, dove nel giro di due o tre mesi pubblicò una decina di trattati. A dicembre, scrivendo al riformatore di Zurigo Heinrich Bullinger, manifestò l'intenzione di fermarsi in quella città, ma nel gennaio 1550 accettò l'invito della comunità di Vicosoprano di diventarne pastore. La ragione principale del trasferimento fu certamente la possibilità di risiedere a poca distanza dal ducato di Milano e dai domini veneziani onde intrattenere rapporti con diplomatici e con influenti viaggiatori di passaggio. Inoltre Vicosoprano gli permetteva di mantenere contatti con gli altri grandi centri della Riforma: Zurigo, Basilea, Berna, Losanna.

Fu a Vicosoprano che subì un attentato commissionato dall’Inquisizione romana: qualcuno tentò di metterlo a tacere con una schioppettata, ma il colpo fallì. Nel 1551 fece una cosa che rimane come un’ombra sulla sua figura: convinse l’anabattista Camillo Renato, che era anche condizionalista e antitrinitario, a firmare una dichiarazione di fede che condannava esplicitamente punto per punto le proprie dottrine onde sfuggire all’ira di Calvino. Vergerio fece questo per acquistare influenza nella regione. Ne aveva bisogno per condurre il suo attacco, più politico che religioso, contro la Chiesa che aveva da poco abbandonato e per costituirvi un centro di propaganda più anticuriale che protestante.

Scrisse circa quaranta opere, nelle quali, fra l’altro affermava di essere d’accordo con Lutero che il Papato era un’invenzione del diavolo, che era l’Anticristo che sedeva nel tempio di Dio, come era stato predetto da Daniele (11:36) e da Paolo (2 Tessalonicesi 2:3 e segg.), che era la bestia dell’Apocalisse e che sarebbe stato presto distrutto dal giudizio divino. L’opera con cui conquistò la fama in Europa fu la "Historia di Francesco Spiera" (1551). Francesco Spiera era un giurista veneto che, avendo abiurato nel 1548 le dottrine luterane che aveva professato e diffuso, morì subito dopo dal rimorso con la convinzione di essere dannato in eterno. Calvino trovò che Spiera aveva ben meritato la sua sorte e il libro di Vergerio servì nel mondo protestante da monito onde guardarsi dal rinnegare la fede.  

Nel 1553 lasciò Vicosoprano per divenire consigliere del duca Cristoforo di Württemberg a Tübingen.
Negli anni 1555-1556 entrò in contatto con i protestanti sloveni e croati, soprattutto con Primoz Trubar, che aveva conosciuto nel 1541. A lui va il merito di aver introdotto anche negli scritti protestanti la grafia latina in luogo della gotica, sino ad allora prevalente. Inoltre ebbe un ruolo rilevante nella diffusione del protestantesimo in Istria.
Negli ultimi anni di vita Vergerio viaggiò molto in vari stati dell'Europa centrale; nel 1558 visitò Lubiana e Villacco, anche se soggiornò soprattutto in Prussia, in Polonia e in Austria. Vergerio compose vari scritti, tutti di carattere polemico contro la Curia romana, alcuni dei quali vennero raccolti nell’opera Adversus papatum del 1563. Morì a Tübingen  il 4 ottobre 1565 all’età di 67 anni.

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